Händel, sempre Händel, fortissimamente Händel


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il Giulio Cesare in Egitto all’Opera di Roma

Sabato 21 ottobre, ultima replica del Giulio Cesare in Egitto di Händel al Teatro dell’opera di Roma.

“Giulio Cesare in Egitto” di G.F. Händel, grande capolavoro del barocco musicale, è stata rappresentata per la prima volta nel 1677 a Venezia. Per percorrere i 500 Km circa che separano Venezia da Roma, l’opera ci ha messo 278 anni. RIsale infatti al 1955 la prima di quest’opera al Teatro Costanzi. La prima rappresentazione era nella forma in cui si rappresentavano all’epoca queste opere, quindi GIulio Cesare era un basso (e che basso! Niente di meno che Boris Christoff), Nei 68 anni che ci separano da quella data il Giulio Cesare è stato rappresentato “ben” 2 altre volte a Roma, nel 1985 e nel 1998. A quell’epoca Giulio Cesare, voce alta da controtenore veniva cantato da una donna per cui è capitato anche che fosse un elefante, interpretato da Monserrat Caballè.

Finalmente dopo altri 25 anni dall’ultima rappresentazione e dopo 336 anni dalla sua nascita, grazie alla barocco renaissance e alla riscoperta del controtenore, l’opera approda a Roma col cast più adeguato

Ecco il cast:

Giulio Cesare: Raffaele Pe
Cleopatra: Mary Bevan
Sesto Pompeo: Aryeh Nussbaum Cohen
Cornelia: Sara Mingardo
Tolomeo: Carlo Vistoli
Achilla: Rocco Cavalluzzi
Nireno: Angelo Giordano
Curio: Patrizio La Placa

Scene: Paolo Fantin
Costumi: Agostino Cavalca
Luci: Alessandro Carletti
Movimenti Coreografici: Thomas Wilhelm

Regia: Damiano Michieletto
Direttore: Rinaldo Alessandrini

Il programma del Teatro non ci fa dono dei nomi degli interpreti del personaggio in mimo di Pompeo e delle 3 Parche, nonche dei pugnalatori di Cesare, che pure è nell’economia della messa in scena sono importantissimi, ma si sa, quando ci sono un regista e un direttore narcisi come i due in oggetto raramente ci si ricorda delle figure da loro create.

Seguendo l’ordine di importanza di una rappresentazione di teatro in musica cominciamo dalla direzione dell’orchestra: Rinaldo Alessandrini ammorba ormai da trent’anni laproduzione barocca in Italia, di cui è quasi un monopolista, celebrato e osannato, eppure avere ascoltato a circa 25 anni di distanza un rappresentazione diretta da lui (la volta precedente era un concerto a Villa Giulia per la stagione estiva di S.Cecilia, altro monumento ormai caduto in disgrazia, e vale sia per le stagioni estive che, da quando esiste una meravigliosa Cavea con migliaia di posti all’esterno del nuovo Auditorium della capitale sono state sostituite da concerti di bande rock, orchestine jazz e cantanti pop, sià per l’orchestra stessa che da decenni enonostante l’ottimo ex direttore principale Pappano, ha ormai perduto tutta la perfezione di suono che l’aveva resa celebre nel mondo), mi ha riconfermato tutte le opinioni di piattezza, completa assenza di interpretazione e delle dinamiche e sostanziale inutilità (forse un metronomo al posto suo avrebbe potuto fare di meglio, ma certamente non avrebbe fatto di peggio).

RIsolto il problema principale di quest’opera veniamo alle belle notizie: Il cast vocale era pressoché perfetto, a cominciare da i due principali controtenori, Raffaele Pe (Giulio Cesare) e Arieh Nussbaum Cohen (Sesto Pompeo) e dalle due splendide voci femminili Mary Bevan (Cleopatra) e Sara Mingardo (Cornelia).

Raffaele Pe (Giulio Cesare), come ho già scritto è un controtenore maturo, con voce calda, leggermente scura, purezza e chiarezza di suono, decisamente ad altissimo livello, paragonabile a grandi maestri della rinascita del controtenore come Andreas Scholl. Splendida l’aria d’entrata “Presti omai l’egizia terra” bellissima l’aria che chiude la prima parte “Se in fiorito ameno prato” (stranamente, per decisione del regista il secondo atto è stato diviso a metà e i 3 atti sono diventati due parti, cosa che avrà significato sicuramente qualcosa per il regista ma rientra in quei casi in cui un regista narciso “rivede” costruendo una “sua” drammaturgia senza curarsi della drammaturgia stessa dell’opera). Grandiosa, infine l’aria dello sconfitto Cesare in “Aure, deh per pietà”. Ottima anche l’intepretazione grande agilità e espressività in scena che ne fanno un punto fermo nel panorama del canto barocco. Una sola pecca, secondo me, era costituita dall’eccessiva ricerca di fioriture e variazioni, per cui in tutte le arie, non solo la ripresa ma anche l’esposizione era fortemente variata rispetto alla partitutura originale, per cui a volte si perdeva un po’ il senso armonico della musica di Händel.

Aryeh Nussbaum Cohen (Sesto Pompeo), di 10 anni più giovane, è caratterizzato da voce squillante, ricca di armonici, potente, molto agile e chiaro nelle coloriture. E’ senz’altro destinato a ruoli sempre più interessanti per il futuro. Grande la sua sensibilità drammatica del personaggio, molto diverso in questo da Giulio Cesare, nelle sue arie e nei duetti con Cornelia, la madre, esprimeva tutta la drammaticità del personaggio, sia vocalmente che a livello drammaturgico.

Splendida, cristallina, dalla voce agile e squillante, Mary Bevan ha reso una meravigliosa Cleopatra tanto nei momenti gravi e drammatici “Piangerò la morte mia”, quanto nei momenti di seduzione “V’adoro pupille”. Ottima interpretazione, che ricorda nei movimenti, avvicinandosi drammaturgicamente, senza ovviamente raggiungerne le qualità vocali irragiungibili, a Nathalie Dessay.

Altrettanto splendida nel suo ruolo drammatico di Vedova di Pompeo, concupita e desiderata da Tolomeo e Achilla e quindi involontaria causa della morte di entrambi, Sara Mingardo è una Cornelia matura, drammaticamente pura, dal suono languido ma fermo dalla drammaturgia dignitosa, senza mai perdersi in inutili pomposità.

Una nota stonata del cast è stato Carlo Vistoli, che si è presentato in teatro con una ampia claque che gli ha deferito intensi applausi nalla sua interpretazione di Tolomeo. Ai limiti vocali (il suo suono raramente superava la platea, anche grazie al narcisismo di Alessandrini che suonava tutto allo stesso volume, fregandosene ampiamente delle esigenze dell’ascoltatore), aggiungeva forti limiti di agilità per cui nei fioriti perdeva spesso suoni e intonazione. Rimediava al tutto con una intepretazione di livello molto buono ma che nel teatro in musica è l’altra faccia delle grandi voci immobili in scena come statue.

Il resto del cast faceva il dovuto e portava bene a segno la propria parte.

Damiano Michieletto

E chiudiamo con la regia. Damiano Micheletto è considerato da qualche anno il regista d’opera di riferimento, ha preso il posto in questo ruolo che fu di Ronconi e come Ronconi mostra idee con poco costrutto e molto esibizionismo narcisistico. L’idea registica è presa dal libretto: la figura di Pompeo che ricorre continuamente presentandosi come statua immobile a lungo dopo l’assassinio di Tolomeo, le tre Parche che tessono i file che accompagnano l’intera rappresentazione e che alla fine crollano tranciati provocando la morte di quelli che sono idealmente a rappresentare quelli che in un tempo successivo al tempo dell’opera e senza nessuno riferimento a essa, tradiranno e uccideranno Cesare nelle idi di marzo.

L’idea, pur risultanto senz’altro gradevole nella sua funzione di “riempire” lo spazio delle lunghe arie tutto con esposizione, intemezzo e ripresa per distrarre il pubblico, come se la musica da sé non fosse sufficiente (ma i pensieri cattivi che mi assalgono fanno pensare a una compensazione del piattume di Alessandrini), nello svolgere la funzione di divulgazione, banalizza in maniera talmente patente l’opera da risultare alla fine veramente noiosa. Ridicolo il finale in cui all’ultima nota Cleopatra e GIulio Cesare si abbracciano felici mentre i fili delle parche crollano e crollano morti tutti i figuranti a loro intorno.

Nel complesso una splendida serata di bel canto con tante cose da rivedere sul piano della drammaturgia salvate dalla sapienza, anche drammaturgica e non solo vocale, di ottimi cantanti.

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